Da
http://www.napolidiceno.net DOCUMENTO POLITICO DELL’ASSEMBLEA PERMANENTE DI LETTERE E FILOSOFIA - FEDERICO II
La Scuola e l’Università che a livello Europeo,vengono imposte mediante processi di aziendalizzazione della struttura, privatizzazione degli enti, trasformazione del sapere in mera competenza, precarizzazione del lavoro intellettuale (in un contesto generale di precarizzazione del lavoro dipendente pubblico e privato), sono nient’altro che l’espressione settoriale di un Sistema sociale e di poteri, quello capitalistico-finanziario d’occidente, nonché della sua ideologia, quella mercato-centrica-neoliberista, che proprio in questi giorni falliscono e crollano su loro stessi provocando gravi crisi economiche e sociali (di cui, contrariamente a come accade con i profitti, ne risentono soprattutto i gruppi sociali più deboli, dai lavoratori dipendenti agli studenti, dal precariato al nuovo sottoproletariato fatto di disoccupati e migranti), dopo aver già creato iniquità e discriminazioni sociali.
Nel caso dell’Italia, poi, la situazione assume una dinamica ancora più particolareggiata, dato che si tratta di un paese in cui il Capitalismo nelle sue diverse fasi è andato a fondersi col retaggio storico del corporativismo (soprattutto quello degli industriali e di alcune lobby professionali), del clericalismo, della criminalità organizzata, di una particolare arretratezza culturale dei cosiddetti “ceti medi”, di un affarismo congenito nell’elite politica.
Nell'Università la contraddizione italiana prendeva corpo creando un sistema che è andato progressivamente avvicinandosi alle strutture e ai modi di produzione d'impresa, mantenendo però un'organizzazione gerarchica di stampo “feudale” segnando sprechi e
ostacoli per la ricerca.
Il sistema baronale ha così prestato il fianco all'ultimo attacco all'istruzione che si configura come radicale, fissando il definitivo passaggio da una gestione pubblica, inclusiva ad accesso massificato per una escludente politica privatistica che continuerà a gestire interessi particolari ( prima baroni, adesso baroni e capitani d'azienda ) con soldi e spazi pubblici.
Troppo spesso la Scuola e l'Università hanno tradito carenze in termini di strutture edilizie e servizi, qualità del trattamento dei corpi docenti, chiusura ad alcune classi sociali e quindi mancanza di parità nel diritto allo studio per ogni donna ed uomo. Tutt’oggi, nonostante degli importanti passi fatti in avanti grazie alle lotte dei movimenti studenteschi a partire dagli anni sessanta, persistono alcune delle falle storiche del sistema scolastico-universitario.
Nel documento che seguirà l'analisi servirà a fare emergere quelle dinamiche di trasformazione del mercato del lavoro e della società tutta ( inseguendo con affanno i processi europei che di fatto si impongono come una semplice linea “restauratrice”) che hanno poi investito il sistema dell'istruzione, di fatto attaccando il diritto al sapere, fondamentale per ogni forma di cittadinanza.
Tutti i soggetti che compongono il precariato universitario meritano di partecipare al necessario processo di trasformazione che però deve assumere una direzione inversa. L'Università deve finalmente essere un luogo pubblico, aperto e liberamente attraversabile; deve recuperare una attività didattica che attinga dal dialogo e dal confronto in uno spazio finalmente accessibile a tutti e nel quale tutti possano prendere parola.
“15 anni di buone ragioni”sono abbastanza per innescare una mobilitazione che pretende di essere totale e di interpretare un modello nuovo.
Solo tra le maglie dell'Università può crescere un serio movimento di critica all'esistente e l'Assemblea Permanente vuole essere uno spazio di possibilità comuni dove questo possa germogliare.
Questa Assemblea, in sinergia con l’intero movimento studentesco, intende mobilitarsi sia contro le politiche condotte dal Governo Berlusconi IV con i suoi Ministri Tremonti (Economia) e Gelmini (MIUR), sia contro il sistema scolastico-universitario così come è andato delineandosi negli ultimi 15 anni, senza ovviamente rimpiangere quello precedente, comunque valutato quale inaccettabile, ma progettando dunque Scuola, Università e Ricerca Pubbliche, che siano veramente nuove
In fine, è bene specificare pure se oramai ovvio che la medesima Assemblea Permanente non può che assumere una più ampia posizione socio-culturale e politica altrettanto netta contro l’impianto più generale della Società Capitalistica, con l’ulteriore speranza di dare un significativo contributo alla rinascita di una pluralità studentesca in movimento che torni stabilmente ad occupare una posizione critica rispetto al Sistema.
Il decreto Gelmini non è altro che l’ultimo tassello di una serie di riforme e provvedimenti che si susseguono da oltre 15 anni: saremmo degli sciocchi se non considerassimo e non andassimo alla ricerca delle cause e di quegli elementi che hanno aggravato la situazione e ci hanno portato alla miseria nella quale il sistema dell’istruzione del sapere pubblico verte oggi.
Risulta fondamentale, a tal fine, contestualizzare il decreto e non considerarlo un evento isolato, inserirlo in un più ampio processo di cambiamenti economici e sociali che investe l’Europa dagli anni ’90.
Da decenni aggettivi come equità e modernità, e parole d’ordine come innovazione e riforma sono entrate nelle nostre vite. In una miriade di documenti ufficiali (“Strategia di Lisbona”, “Processo di Bologna”, “Istruzione e formazione 2010” e “Mobilitare gli intelletti europei”) si sostiene che in Europa vi sarebbe una scarsa competitività per i laureati che si affacciano al mondo del lavoro.
L’Università è stata così costretta ad adeguarsi ai cambiamenti strutturali che il sistema richiedeva. Per mettere a fuoco le dinamiche che interagendo hanno dato vita a queste trasformazioni, occorre fare un passo indietro: inizieremo da una frase presente negli scritti succitati: “l’obiettivo è fare dell’ Unione Europea la più competitiva economia basata sulla conoscenza.”
La risultante è che il vecchio sistema formativo presentava delle falle che si possono convenzionalmente sintetizzare in:
* scarsa produttività del sistema universitario e della ricerca
* mancanza di flessibilità del mercato
* differenze nella valutazione dell’apprendimento, basata più sulla misura del sapere che del saper fare.
In Italia, questa critica si palesa attraverso la riforma Zecchino-Berlinguer e ha inizio, così, quel processo che viene definito “adeguamento alle normative europee”.
Alcuni suoi nodi essenziali possono essere così sintetizzati:
* Introduzione del sistema dei crediti: permette di quantificare e calcolare le ore di studio necessario per superare un esame, così mercificando il sistema di apprendimento e riducendo tutto l’iter universitario ad una semplice accumulazione. Ci teniamo ad evidenziare che il sistema dei crediti è stato ideato per creare uno standard di valutazione comune che permettesse la nascita di una forza lavoro europea, “cresciuta” e valutata in maniera uniforme e, per questo, spendibile senza restrizione all’interno del mercato del lavoro europeo e non certo per facilitare dei neutri scambi interculturali, che vengono di fatto regolati dai rapporti tra atenei.
* Ritmi: parola d’ordine dell’università riformata è la produttività, ripresa dall’ambito economico ne riflette i contenuti e le implicazioni: fare più esami in meno tempo, rappresenta non solo una corsa affannosa, ma anche l’impossibilità di autogestire il proprio percorso di studi e di soffermarsi a ragionare demolendo ogni tentativo di sapere critico a vantaggio di una conoscenza nozionistica. La logica del segui ,studia, fai l’esame è il riflesso di una produttività ormai presente nelle nostre vite a tutti i livelli; in tutti gli ambiti, da quello formativo a quello lavorativo, la capacità di mantenere alti i livelli di produttività è il parametro discriminante dell’intera società.
* Sbarramenti: con l’introduzione della divisione in cicli del sistema universitario ( 3+2 ), aumentano i corsi di laurea a numero chiuso, e l’accesso limitato alle lauree specialistiche (senza parlare di master e scuole di specializzazione) diventa un vero e proprio strumento di selezione (di classe oltre che di merito). La stessa possibilità di introdurre sbarramenti per superare l’anno (muro dei crediti), è uno degli strumenti per eliminare, sotto il falso criterio della meritocrazia, chi non è abbastanza produttivo. Una selezione progressiva con una serie di maglie che si stringono nel processo formativo è alla base dell’intero sistema universitario. Nascono così due tipi di lauree e laureati: da una parte vi è la laurea triennale; per anni hanno voluto farci credere che questa fosse un titolo di studio in tutti i suoi aspetti qualificante per l’entrata nel mondo del lavoro, ma la realtà ci dimostra, invece, quanto essa sia un ulteriore strumento di svilimento delle conoscenze che saranno, invece, sfruttate in lavori di bassa qualifica. La realtà qui descritta rende evidente quanto questo sistema risulti accessibile solo a quei pochi che, per condizioni di partenza economica più agevoli, possono sostenere questi ritmi così frenetici. Di contro, la possibilità di permanenza ad un ciclo formativo così ampio, che parte dalla laurea triennale fino ad arrivare a master e scuole di specializzazione a pagamento, è negata a coloro che per provvedere alla propria formazione, sono costretti a sostenere lavori di ogni sorta. A ciò si aggiunge la privatizzazione di ogni genere di servizi: le mense universitarie, la scomparsa di residenze per studenti, la diminuzione delle borse di studio che rendono ancora più evidente quanto l’accesso all’università sia negato a chi non è in grado di sostenere costi così elevati.
A questo punto è necessaria una riflessione su quello che per anni è stato chiamato “diritto allo studio”: già ai tempi della Zecchino-Berlinguer l’Università ed i suoi ritmi, sopra descritti, non erano sostenibili senza una lunga serie di servizi minimi. Per fare un esempio pratico: la semestralizzazione ed il compattamento dei corsi necessitano di una permanenza all’università prolungata (corsi di 4/8 ore al giorno per 3/5 giorni a settimana) senza che – in alcun modo – venga garantita assistenza. La progressiva esternalizzazione del servizio di mensa ed il meccanismo dei buoni-pasto, non garantiscono la gratuità del pasto stesso; non esistono strutture residenziali gratuite ed il mercato immobiliare studentesco è a completo appannaggio degli affittuari a nero, foraggiando direttamente – tra l’altro – l’economia sommersa; la necessità di spazi di studio e di strumenti a supporto è completamente negata da orari impossibili delle biblioteche e dai tagli finanziari alle stesse, che obbligano a corse sfrenate per accaparrarsi quei pochi testi disponibili, oltre che – ancora una volta – a foraggiare l’economia sommersa attraverso il lavoro di fotocopia: alla faccia degli ipocriti discorsi sulla legalità; il costo dei trasporti è esorbitante e gli “sconti studenti” sono pallidi ammortizzatori esercitati a discrezione delle amministrazioni regionali; l’ammontare dei costi di iscrizione aumenta di anno in anno, anche attraverso il gioco di prestigio dell’assottigliamento delle fasce di reddito a fronte di una crescente inadempienza nel pagamento delle borse di studio. Tutto ciò ridicolizza, da un punto di vista pratico, ogni legge esistente sulla tutela del diritto allo studio, senza tra l’altro che sia stata mai chiesta l’opinione degli studenti (o delle loro evanescenti rappresentanze) in merito a tali questioni.
Questo processo rappresentava, e continua a rappresentare, una strategia dell’Università per garantirsi il consenso di quella che non è più l’utenza, ma che diventa sempre più palesemente una clientela, l’inizio di quel processo che porta le Università a trasformarsi in aziende. Di qui anche la delineazione di un nuovo quadro che perde le sue sfumature e vede l’università-azienda in competizione per la competitività dell’Europa.